Eccoci di nuovo al consueto incontro con le lettrici e i lettori, spero tutti riposati e pronti a riprendere le nostre attività con rinnovata energia.
È stata un’estate, per alcuni versi, movimentata, per quanto ci riguarda, (prescindo, per il momento, dalle vicende mondiali e da quelle, terribili, più recenti, di casa nostra, per le quali – quest’ultime – esprimo il più sentito cordoglio per vittime e familiari e solidarietà per quanti soffrono, nella speranza di interventi pronti, organizzati e decisivi per restituire la vita a paesi e città distrutti dal terremoto).
Restando su cose più modeste, ma tutt’altro che esaltanti, bisognerà parlare del dibattito (futile) sulla Festa dell’Unità e sulla ripresa degli attacchi all’ANPI.
Sul primo punto, dirò solo che è sorprendente che si sia costruita una sorta di scontro, su una questione per la quale sarebbe stata sufficiente un po’ di ragionevolezza, che – alla fine – ha prevalso, almeno a Bologna, Reggio Emilia e in altre città. La questione era semplice: non siamo noi che vogliamo andare alle feste dell’Unità a fare propaganda per il “NO” (abbiamo già sedi e modi diffusi per farlo), ma siamo stati invitati, come da tradizione, ad occupare spazi disponibili. Ma non si possono porre dei limiti a chi si invita, per di più sapendo con chi si ha a che fare: l’ANPI è fatta di gente seria, che mai ha pensato di andare a battere la grancassa o a strillare nei microfoni, sia pure in difesa della Costituzione, in casa altrui. Ed infatti, mi pare che nelle città ricordate tutto si vada svolgendo serenamente e con reciproco rispetto.
Dunque, una questione fondata sul nulla, sulla quale si sono molto diffusi coloro che, nel periodo estivo, hanno difficoltà a riempire le pagine dei giornali con argomenti che possano interessare i lettori un po’ distratti, al mare ed ai monti.
Un po’ per la stessa ragione, ma con qualche motivo in più, si sono di nuovo scatenati alla ricerca di partigiani “veri”, che voteranno per il SI, alle “divisioni” all’interno dell’ANPI, ai presunti provvedimenti disciplinari e così via (ricordo un titolo a grandi caratteri: “Rimosso un dirigente dell’ANPI perché dissidente”). Era una balla colossale: a seguito del Congresso, tutte le cariche vengono rinnovate, dal Presidente nazionale all’ultimo Presidente di Sezione. Ed è normale che in alcuni casi si confermi ed in altri si rinnovi. Così, nel caso del Coordinatore regionale dell’Emilia Romagna, è avvenuto: si è scelto (con la decisione di tutti i Presidenti provinciali dell’Emilia) di tornare ad anni fa, prima della morte di Lino Michelini, quando la carica di Coordinatore regionale, coincideva sempre con quella del Presidente provinciale del capoluogo di regione. Tutto qui. Ma ci si è costruita sopra la teoria dello stalinismo dell’ANPI, della repressione delle dissidenze, e così via. Falsità colossali, così come colossali sono state le notizie su fratture, rotture, divisioni, che non esistono.
I dati sono quelli del Congresso (347 SI e tre astensioni sulla linea politica) e c’è voluto Rondolino per scoprire che si tratterebbe di una “truffa”, perché i 347 non rappresentano tutti gli iscritti. E cosa si fa, di grazia, in democrazia, nei partiti e nelle associazioni? Si votano dei delegati, in proporzione agli iscritti. L’alternativa sarebbe il referendum via “rete” (ma è un sistema impossibile ed anche il Movimento 5 Stelle lo sta quasi abbandonando).
Dunque, un po’ di dissidenti ci sono, dietro quei tre che si sono astenuti al Congresso. Nessuno lo nega; nessuno, fra noi, li conta; nessuno – nell’ANPI – adotta misure disciplinari contro il dissenso.
Dopo di che, è un delitto auspicare un po’ di spirito di appartenenza e chiedere di non danneggiare l’Associazione, inasprendo conflitti o assumendo comportamenti vistosamente contrari alle decisioni adottate dal Congresso? Questa è la democrazia, se lo ricordino i nostri detrattori; e la democrazia sta in mezzo tra l’autoritarismo e l’anarchia. Noi stiamo in quel mezzo, ci stiamo bene e la nostra Associazione se ne vanta e se ne giova, checché ne dicano gli scribacchini di turno.
Ma non basta. Hanno riaperto una querelle che pareva – giustamente – abbandonata e conclusa dopo gli exploit dell’aprile e del giugno scorsi. Certo, i partigiani sono ormai pochi, ma dal 2006 l’ANPI si è costruita proprio attorno a questo fatto ineluttabile ed ha ammesso anche gli antifascisti che si riconoscono nelle finalità statutarie dell’ANPI. Da allora, si è sviluppato un processo non di “passaggio del testimone”, ma di continuità nel portare avanti i valori e gli obiettivi dell’Associazione.
Come non ci sono partigiani “veri” e partigiani “falsi” a seconda del voto sul referendum, così non ci sono iscritti distinti per età, qualifica, esperienze compiute, ma semplicemente iscritti, che portano avanti la memoria, e i valori della Resistenza e della Costituzione. So che questo dà fastidio; ma forse qualcuno dovrebbe ricordarsi che esistono associazioni che si rifanno ad esperienze così longeve da non esserci più alcun superstite; e lo Stato dà loro un pur modesto contributo, perché ha interesse a che si conservi la memoria e si tramandino i valori. È così in tutti i Paesi del mondo, o almeno in quelli “civili”.
Civili, invece, non sono mai gli insulti, sui quali non mi soffermerò troppo, anche perché alcuni sarebbero meritevoli di querela, piuttosto che di contestazione. Devo dire che non abbiamo alcuna passione per le valutazioni di tipo giuridico, ma quando la “critica” trascende in attacco personale oppure si fonda su plateali falsità, allora – gentili signori – questa si chiama “diffamazione”.
Lascio perdere ciò che hanno detto alcuni dirigenti del PD, riguardo all’ANPI, messa al livello di Casa Pound o dichiarata “finita”; tralascio chi ha detto, credo provocatoriamente, “Io sono dell’ANPI e sono per il SI. Mi cacceranno?”, dovendo sapere – se è davvero iscritta all’ANPI – che il Comitato nazionale ha scritto, su questo tema, una pagina incontestabile, col documento del 24 maggio 2016. Tralascio chi ci ha chiamato “venerandi”, non sapendo (e dovendo sapere, perché questo è il mestiere del vero giornalista) che siamo pieni di ragazze e ragazzi e di persone di almeno due generazioni intermedie.
Ma siamo ancora nell’ambito del faceto. Più gravi sono le accuse del solito Rondolino: vi ricordate cosa scrisse pochi mesi fa? Più o meno, che sono un ignorante. Adesso è tornato all’attacco, ma forse qualcuno ha riconosciuto che aveva passato il segno, tant’è che alcune frasi pubblicate su Unità.it sono state eliminate nell’edizione cartacea del mattino successivo. Il che, peraltro, non lo assolve dalle sue colpe, perché “scripta manent”, anche on-line.
Puntualmente, si è dedicato all’ANPI il quotidiano Libero con ben due articoli, tutti e due veramente pesanti; uno dedicato alla mia persona, davvero meritevole di querela, cercando di infangare ciò che di positivo ho cercato di fare della mia vita, e l’altro dedicato all’ANPI, che camperebbe a spese dei contribuenti riempiendosi le tasche di denaro pubblico. Ne parleremo ancora, ma fin d’ora posso dire: che il prezzo della tessera è un contributo di chi aderisce (e vivaddio, questo è più che lecito); che il 5×1000 non è una donazione dello Stato ma, ancora una volta, un contributo volontario dei cittadini ad un’Associazione che vogliono sostenere; che, infine, l’ANPI (che riceve un modesto contributo da parte del Ministero della Difesa) è in compagnia di almeno 45 Associazioni combattentistiche, reducistiche ed altro, che vengono sostenute proprio perché portatrici di “memoria”, mentre altri contributi – per le stesse ragioni – sono elargiti dal Ministero dell’interno a favore dell’ANPPIA, dell’ANED, dell’Associazione vittime civili di guerra, in misura molto superiore al (ripeto) modesto contributo all’ANPI. Chi vuole verificare vada sul Sito del Ministero della Difesa e “scoprirà” la verità.
Insisto sul “modesto contributo” all’ANPI, perché l’ANPI fa una quantità di cose e di iniziative, con una vitalità ed un impegno civile e culturale universalmente riconosciuti e dunque mi pare più che meritevole di essere sostenuta. Ma poi, cosa vogliono, costoro? Uno Stato senza memoria, senza storia e senza riconoscimenti a coloro che hanno combattuto per la libertà di tutti e per la democrazia?
La verità è un’altra: che l’accanimento contro l’ANPI, è – per alcuni – fondato su un odio ancestrale nei confronti dei valori che rappresentiamo e sosteniamo e di cui tutti dovrebbero essere fieri. Noi, che siamo contrari per vocazione e per principio, all’odio, lo riconosciamo subito, quando si manifesta; e lo deploriamo. Poi, c’è chi inasprisce – per principio – i contrasti e quindi non discute con “l’avversario” ma cerca solo di distruggerlo. Nel caso specifico, c’è una evidente coincidenza (e questo vale per tutti i casi che ho citato e non solo per gli ultimi) col referendum. Non si è capaci di capire che si può essere favorevoli al SI o al NO, senza diventare “nemici”; e senza ritenere che chi aderisce ad una scelta che non ci piace non è, per questo, da distruggere con le parole, con gli scritti, con le azioni.
Che tristezza, un Paese ridotto così, dove non si è più capaci di distinguere tra l’avversario e il nemico, dove non è con gli argomenti che si combatte, ma con gli insulti, le falsità, la denigrazione.
Tutto questo ci addolora, perché vorremmo – invece – vivere in un Paese civile, dove si ragiona, anche con idee diverse e dove, se c’è un referendum che dà la parola ai cittadini, essi sono liberi di esprimersi come vogliono, senza insulti, senza prevaricazioni, senza ricatti.
Per finire, non poteva mancare, fra tanto ardore, il contributo di chi fa ancora la lotta contro i mulini a vento. Così, sul Corriere della Sera è apparso un articolo intitolato, nientemeno, “L’ANPI, il Referendum e le tessere immeritate”; un articolo fatto di cose immaginarie, di straordinarie contraddizioni e di sospette attestazioni di rispetto nei confronti di chi ha fatto la Resistenza. Secondo l’autore, è grottesco non l’ANPI, ma chi “pretende di parlare a nome dei partigiani senza essere stato partigiano”. Ma di chi mai si tratterebbe? Non lo so; io non conosco nessuno (a partire da me stesso) che si pronunci per il NO in nome dei partigiani. Per carità, ognuno espone le sue idee, partigiano o no; e credo proprio che abbia il diritto di farlo. E se è iscritto all’ANPI non è certo una colpa e non significa affatto che se apre la bocca lo fa a nome di tutti.
Lo stesso autore parla, a proposito della decisione adottata dall’ANPI nel 2006 di ammettere anche gli antifascisti che si riconoscono nelle finalità dell’ANPI (antifascismo, difesa della Costituzione, ecc.) di una decisione “sciagurata”, ancorché animata (bontà sua) da buone intenzioni. Perché mai una parola così forte per definire una scelta che ha consentito di tramandare la memoria, di diffondere la conoscenza di quella pagina meravigliosa che è stata la Resistenza (che tanti, purtroppo, tentano di ignorare o sminuire), di agire per la difesa e l’attuazione della Costituzione (che tanti, purtroppo, invece di attuare cercano di stravolgere)?
Così vanno le cose del mondo e forse è difficile far capire a chi non vuol capire che non esiste affatto una pretesa di ottenere “un’attenzione maggiore di quella riservata ad altri”, ma solo l’intento, esplicito e dichiarato e senza pretese, di evitare uno stravolgimento della Costituzione.
La verità è che molti non ci conoscono ed è sorprendente che una buona parte della stampa non abbia pensato – invece di sparare sentenze – di venire al nostro Congresso per vedere chi siamo, come operiamo e per constatare come è avvenuta e sta avvenendo la perfetta continuità tra passato, presente e futuro, anche nel concorso di più generazioni.
Dobbiamo anche dire che, se al fondo, ci fosse anche la volontà di metterci a tacere, di ridurci al silenzio, di intimidirci, coloro che si impegnassero su questo terreno dovrebbero sapere che non abbiamo mai avuto paura di nulla e di nessuno, e che la nostra Associazione si considera (ed è considerata) legittima erede e successore di coloro che si impegnarono per la libertà. Scrisse, anni fa, Arrigo Boldrini una frase bellissima “abbiamo combattuto anche per loro”, riferendosi a chi era stato dall’altra parte o era rimasto indifferente. Noi continueremo, nonostante tutto, ad impegnarci a fondo per le cose in cui crediamo ed a batterci per la libertà di tutti, almeno fino a che non risulterà superato il limite del rispetto dei diritti altrui, nel qual caso non saremo noi, ma sarà la Magistratura a doversene occupare.