Ricordare, a settanta anni di distanza, gli scioperi del marzo 1944 significa tornare ad uno degli avvenimenti più significativi della rinascita dell’Italia come Stato repubblicano e democratico. Gli scioperi sono stati un avvenimento assolutamente eccezionale. Nessun Paese occupato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale ha vissuto una conflittualità così partecipata ed estesa. In nessun Paese, durante la guerra, il mondo del lavoro ha assunto una centralità così evidente tale da condizionare le sorti del regime fascista e da imprimere una così pronunciata impronta alla transizione verso la democrazia.
Quello che si consuma nella primavera del 1944 è qualcosa che investe direttamente la legittimazione del regime: diversi mesi prima della destituzione, Mussolini, già perdente sul fronte esterno, perde in gran parte il consenso del popolo italiano, viene sconfitto sul fronte interno. La rottura avviene sul terreno dell’adesione o del rifiuto della guerra fascista ovvero dell’elemento più intrinsecamente legato all’esperienza del ventennio. Lo sciopero generale segna il passaggio del mondo del lavoro all’azione diretta, che poi sfocerà nella Resistenza e nella guerra partigiana.
A Torino, alla Fiat Mirafiori e alla Fiat Lingotto, e poi in tutti i grandi e piccoli stabilimenti piemontesi; a Milano, nell’intera provincia, dove lo sciopero fu compatto dal 1° all’8 marzo; a Legnano, Varese, Brescia, Bergamo, in tutta la Lombardia; a Bologna, dove dagli stabilimenti Ducati lo sciopero si propaga in tutte le provincie emiliane; in Toscana a partire dalle officine Galileo e Pignone; e così in Liguria in Veneto. La feroce repressione tedesca, sia in termini di deportazione che di ricerca dei responsabili dello sciopero, impone una riflessione di duplice natura: sulla sofferenza individuale con la quale si pagò il coraggio politico ed etico; sull’arricchimento della Resistenza armata grazie ai tanti quadri operai politicizzati che andarono ad ingrossarne le fila per sfuggire alla persecuzione. Il mondo del lavoro assume una funzione nazionale nel momento in cui comincia a profilarsi la sconfitta militare dei tedeschi e dei fascisti.
L’iniziativa operaia, dei lavoratori, propone una via di uscita fondata sui valori del mondo del lavoro: la libertà e la democrazia.